Impariamo a conoscere e riconoscere i disturbi d’ansia
Per addentrarci nel mondo dei disturbi d’ansia è necessario iniziare ad approfondire alcune emozioni. Ma perché è necessario partire da qualcosa di normale e fisiologico come un’emozione per definire ciò che invece è patologico?
Sono spesso le difficoltà di gestione di intense e dolorose emozioni che conducono a sofferenza. In particolar modo sono le emozioni negative quelle che più di tutte ci spaventano; si pensa che non dovrebbero esistere, che siano un segno di qualche disturbo o malessere psicologico.
In realtà una vita emotiva equilibrata non implica un’assenza di emozioni negative, quanto piuttosto la presenza di un’ampia varietà di vissuti emotivi rispetto ai quali vi è consapevolezza e accettazione, nonché conoscenza del loro valore e del loro scopo di esistere.
Tra tutte le emozioni, la paura e l’ansia, sono certamente le più studiate e le più conosciute.
La paura ci segnala un pericolo e ci prepara a metterci in salvo. L’ansia, più tipicamente umana è sorella evoluta della paura. Per provare ansia è necessario possedere la percezione di se stessi nel passato e nel futuro ed è per questo, per esempio, che gli animali non provano ansia.
Ansia e paura vengono attivate per il medesimo scopo e con la stessa modalità, ma una differenza sostanziale risiede nella consistenza della minaccia. Quanto più la minaccia è definita, tanto più si parla di paura, mentre quanto più è indefinita tanto più si parla di ansia. Di fronte ad un leone proverò quindi paura, mentre all’idea di non sentirmi bene o di avere qualche malattia sconosciuta, sperimenterò principalmente ansia.
Chi soffre di ansia inoltre tende a rimuginare costantemente. Il rimuginio è un fenomeno mentale che contribuisce al mantenimento e aggravamento dell’ansia caratterizzato dalla ripetizione mentale continua dei termini del problema, unito a idee catastrofiche legate al problema e a un’incapacità di scegliere con decisione cosa fare per rispondere al pericolo, in quanto il soggetto tende a giudicare ogni soluzione come insufficiente e non risolutiva. Spesso si attribuiscono al rimuginio delle funzioni positive ed è per questo che a volte è così difficile smettere di rimuginare.
Esistono diversi disturbi d’ansia e la terapia cognitivo comportamentale sostiene che tra emozioni, pensieri e comportamenti esista una complessa relazione e sottolinea come i problemi emotivi siano in gran parte il prodotto di credenze false che si mantengono nel tempo.
Il DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO è caratterizzato da due manifestazioni sintomatologiche principali: le ossessioni e le compulsioni.
Le ossessioni sono idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti, vissute come intrusive e inappropriate che causano forte disagio, la sensazione dell’individuo è quella che il contenuto delle ossessioni sia estraneo, non sia sotto il proprio controllo e non sia il tipo di pensiero che ci si aspetterebbe di avere.
Le ossessioni più frequenti sono:
- contaminazione (per es., essere contaminati quando si stringe la mano a qualcuno);
- dubbi ripetitivi (per es., chiedersi se si è lasciata la porta aperta o se ci si è comportati in modo tale da causare delle lesioni a qualcuno guidando);
- necessità di avere le cose in un certo ordine (per es., disagio intenso quando gli oggetti sono in disordine o asimmetrici);
- impulsi aggressivi o terrifici (per es., aggredire un figlio o gridare oscenità in chiesa);
- fantasie sessuali (per es., ricorrenti immagini pornografiche).
Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi (cioè lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere mentalmente delle parole). Nella maggior parte dei casi, la persona si sente spinta a mettere in atto la compulsione per ridurre il disagio che accompagna un’ossessione o per prevenire qualche evento o situazione temuti. Sembra che gli ossessivi si considerino responsabili di qualsiasi evento negativo sul quale abbiano anche un remotissimo potere di influenza sia nel determinarlo che nel prevenirlo. L’esagerato senso di responsabilità non riguarda solo le azioni, ma anche le eventuali omissioni, per cui non sforzarsi al massimo per prevenire un certo evento equivale a esserne ugualmente responsabili per omissione e quindi sperimentare una forte colpa.
Il DISTURBO DA ATTACCO DI PANICO è caratterizzato essenzialmente dalla presenza di attacchi di panico ricorrenti e inaspettati che si manifestano con sintomi quali: palpitazioni, tachicardia, sudorazione, sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di sbandamento, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire.
Questo tipo di disturbo si genera da:
- l’attenzione ad individuare, tra i vari eventi della vita di tutti i giorni, quelli che possono costituire una minaccia;
- il pensiero catastrofico che porta ad interpretare gli eventi ambigui, non conosciuti, come potenzialmente pericolosi;
- il bisogno di controllo assoluto del corpo e delle percezioni corporee;
- l’intolleranza dell’incertezza secondo cui il soggetto vede, in maniera distorta, la guarigione con la certezza assoluta di non avere mai l’attacco di panico;
- l’autosvalutazione negativa con un senso profondo di debolezza e di fragilità giudicando negativamente le proprie capacità di controllo degli stati emotivi che diventano un’ulteriore conferma della debolezza e incapacità di fronteggiare gli eventi.
La FOBIA SOCIALE implica una paura marcata e persistente di situazioni sociali o che implicano una prestazione, nelle quali si è esposti al giudizio degli altri. In tali situazioni il soggetto teme di mostrare ansia o agire in modo umiliante o imbarazzante. L’esposizione alle situazioni sociali o prestazionali provoca inevitabilmente ansia, che a volte sfocia in attacco di panico. Il soggetto riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole, ma crede di essere osservato, valutato negativamente e considerato inadeguato e ridicolo compomettendo la qualità delle relazioni sociali.
Tra le idee alla base del disturbo troviamo:
- idee caratterizzate dall’assoluta necessità di essere valutati positivamente dagli altri;
- idee secondo cui elevati standard di performance sono a fondamento dell’apprezzamento sociale;
- estrema attenzione centrata su chi non lo apprezza.